Mettersi in ascolto ed aprirsi al dialogo

Il mettersi in ascolto e l’aprirsi al dialogo costituiscono un requisito unico e primario – in questo momento più che mai – per capire la realtà che i giovani vivono e che con timidi segnali cominciano a farci conoscere ed assaporare. Questo è senz’altro un dato concreto che abbiamo potuto ricavare dalla tavola rotonda di discussione tra i giovani nella prima serata dell’assemblea pastorale diocesana. Non è semplice però entrare in questa ottica che ci invita a “costruire una chiesa giovane, consapevole e in uscita” ma che stenta a trovare i mezzi per farlo. Perché? Abbiamo bisogno di ascoltare ancora – e molto – dai protagonisti. Non solo di “sentire da lontano” ma ci è stato chiesto di ascoltare “nel profondo e da vicino” per capire innanzitutto chi siamo e cosa vogliamo ma soprattutto chi è il giovane cristiano? In una Chiesa che guarda all’uomo prima di tutto, forse questo è il primo nodo da sciogliere, poi esistono tutta una serie di tematiche conseguenti che hanno riguardato tutte le componenti della comunità riunita in un sostanziale momento di verifica nella tre giorni diocesana. I giovani coinvolti hanno perciò tentato di darci alcuni suggerimenti su quel “discernimento pastorale e personale” al quale anche mons. Redaelli ha fatto riferimento nel suo discorso introduttivo.Ci sono stati dunque dei piccoli e forse parziali segnali da parte degli “intervistati” ma il cammino costruttivo è ancora lungo.Sarà allora il tempo di preparazione al Sinodo dei giovani del 2018, una bella occasione di maturità per lavorare sugli spunti emersi dalle voci dei ragazzi interpellati la scorsa settimana. Un tempo per comprendere, ad esempio, se gli interrogativi che si pongono i ragazzi sono gli stessi della Chiesa e viceversa. In questa maniera si potrà dare continuità ai progetti e a far sì che prendano corpo tutte le basi proposte.Edoardo, Giulia, Lorenzo, Lisa, Giulia, Pietro, Luca, Paride e Christian ci hanno detto: “cosa mi sta a cuore nel profondo” scegliendo, in una prima parte dei lavori, di farci ascoltare cosa significa secondo loro una delle dieci parole chiave contenute nel quaderno-sussidio preparatorio al Sinodo di ottobre 2018. Queste dieci parole hanno poi “generato” tante altre parole importanti per segnare un cammino possibile da percorrere. Ed è così che, in un secondo momento dedicato alle loro interviste, ci hanno parlato di dinamicità, movimento ed energia poi di unità nella diversità, di onestà, di direzioni possibili da percorrere attraverso il linguaggio universale dell’amore. E ancora hanno fatto riferimento anche alle lacune “curabili” attraverso quelle chiavi di volta (cioè le nuove generazioni) capaci di generare un messaggio fatto di una capacità comunicativa nuova. Le intenzioni esistono e sono buone ma parlare a tutto campo di quelle sfide giovanili implica appunto la necessità di un tempo lungo. Non si riescono per esempio a configurare ancora chiaramente le parole: lavoro, studio, formazione o impegno politico. Ci sono inoltre dei temi ancora non ben consolidati come la socializzazione e la questione della territorialità (erano stati proposti ma non sviluppati il bilinguismo che viviamo in un territorio “di confine” e il capitale umano “disperso”). L’augurio pieno di entusiasmo che comunque questa nuova generazione si fa e che fa a noi (come comunità non solo diocesana), è quello di restare vicini alla Chiesa capace di saper accogliere i sentimenti di genuinità nelle proposte, gli input da attuare e le novità. Siano dunque i giovani in cammino nella quotidianità ad invitarci in maniera seria “ad uscire e vedere”, a “chiamare ed essere chiamati” per cogliere il dono del Discernimento unica via per saper riconoscere ed interpretare la Fede con un serio e coraggioso senso di appartenenza alla propria comunità inserita in un contesto Mondiale nella Chiesa Universale.