Lo stile conciliare del cardinale Capovilla

La scomparsa del card. Loris Capovilla – segretario di papa Giovanni XXIII, vescovo di Chieti e poi cardinale della Chiesa – ha lasciato un’ampia scia tra i credenti e non, nel mondo della comunicazione in particolare e non solo. Uomo della comunicazione per eccellenza, Capovilla attraverso la sua vita centenaria e la sua testimonianza di servizio all’interno della Chiesa e nel mondo, ha bene espresso la vocazione battesimale e cattolica, la coscienza ecclesiale e profetica. Alla dimensione magisteriale che lo univa al collegio apostolico, egli ha saputo insieme interpretare la coscienza del popolo cristiano e, nella prospettiva del Regno, anche del popolo di Dio in cammino sulla terra ma con “già” -prima in visione e ora definitivamente – nella realizzazione finale.La capacità di esprimere tale consapevolezza era ben visibile nello sguardo e nelle parole, nei ragionamenti e nelle testimonianze. Il volto si illuminava a contatto con i suoi interlocutori e, con luminosa facilità, esprimeva e rappresentava la fede e le passioni della vita, il punto di riferimento finale come anche la consapevolezza della fatica del vivere. Una immediatezza che non conosceva sottintesi ma proiettava direttamente alla coscienza forte e decisa del credere anche la gioia di lasciare intravedere il finale come una proclamazione del credere e del fortemente credere. In una parola di una speranza così desiderata da essere anche palpabile per sé e per gli altri. Così desiderata da essere già ora in costruzione; meritevole di essere ammirata e di trovare accoglienza piena.Il presente, per Capovilla era anche il passato e… lasciava intravedere il futuro che si realizza. In questa prospettiva molte le “lezioni” che la sua testimonianza ha lasciato nel leggere i suoi scritti, ascoltare le sue interviste o partecipare ai suoi incontri. Chi ne ha scritto ha voluto sottolineare  cinque dimensioni: saper vivere alla presenza della morte, la consegna del rispetto degli altri, la pratica della gentilezza con uno sguardo di mitezza (misericordia) si direbbe oggi. Sono dati che rappresentano una vera e propria perla preziosa che ha lanciato i suoi riflessi su una stagione -quella del dopo concilio- dove non sono mancate le amarezze e le delusioni, soprattutto la strana sensazione che tutto sarebbe stato sepolto sotto una coltre  di polvere e di silenzio. Loris Capovilla – insieme certamente con altri  non ha mai consentito che questo potesse avvenire: lo ha fatto con la pazienza del ricordo, la puntualità della critica e il coraggio , appunto, della profezia, ultima e imprescindibile caratteristica del battesimo valorizzando in pieno il ministero episcopale. Una scelta che per lui – diventato vescovo nel giugno 1967 – ha vissuto come ineludibile qualità: vescovo del Concilio e per attuare il Concilio. Una scelta di vita come aveva avuto modo di ribadire a tanti e, fra questi, anche ad un gruppo di sacerdoti diocesani in visita alla sua persona e alla casa di papa Giovanni a Sotto il Monte. Davanti all’arcivescovo Redaelli, come fosse accaduto un giorno prima, ha rammentato la nomina ed il giuramento insieme all’arcivescovo Cocolin del quale ha fatto subito memoria affettuosa, ricordandone la figura e la dolorosa immatura scomparsa. Giovanneo in modo viscerale, mons. Capovilla era convintamente montiniano. “Giovanni e Paolo – scrive -, coi loro insegnamenti e con l’oblazione della loro vita, ci hanno introdotti nel territorio dove splende la luce della vita e i cuori ricevono nuovo impulso ad apprezzare debitamente la dimensione contemplativa dell’esistenza […] e l’azione caritativa dilatata oltre misura” (“Quarant’anni dalla conclusione del Vaticano II. 1965 – 7/8 Dicembre – 2005”, Bergamo 2005, p. 12). A questo stile conciliare, nelle parole e nei fatti, intendiamo rendere memoria riconoscente.