Le responsabilità del “cittadino comune” nella sua città

La città di Gorizia ha celebrato anche quest’anno i Santi Patroni Ilario e Taziano con una solenne liturgia presieduta dal vescovo Carlo in cattedrale e concelebrata dai sacerdoti in servizio pastorale in città. Presenti le massime autorità civili e militari cittadine e gli alunni del seminario interdiocesano di Castellerio, il rito si è concluso con la benedizione alla città con le reliquie dei martiri.Pubblichiamo di seguito l’omelia del vescovo Carlo.

Oggi dovrei parlarvi dei santi martiri Ilario e Taziano, patroni della città di Gorizia. Persone che possono essere ammirate anzitutto da un punto di vista della fede per il loro essere stati discepoli del Signore e l’averlo seguito fedelmente fino a dare la vita, mettendo in pratica quanto affermato dal Vangelo di oggi: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Uomini che pur consapevoli di avere il tesoro della fede in un “vaso di creta” (lo dice Paolo nella seconda lettura), hanno confidato in Dio e resistito di fronte a chi li perseguitava, come il giusto descritto nella pagina del Siracide che ha aperto la liturgia della Parola di oggi. Persone, però, che possono essere apprezzate anche da una prospettiva sinceramente laica, per la coerenza con i loro valori e per la rivendicazione della libertà a costo della morte a fronte di chi li voleva privare della loro libertà di coscienza.Dicevo che dovrei parlarvi di loro. Invece penso sia utile pensare ad altre persone, contemporanee di Ilario e Taziano, potremmo chiamarle Tizio o Caio o, per stare al femminile, Faustina o Drusilla. Vorrei parlarvi, cioè, non di santi e di eroi, ma di persone, uomini e donne comuni, in cui in qualche modo possiamo rispecchiarci. Non voglio però soffermarmi a descrivervi la vita degli uomini e delle donne di Aquileia di quasi 1700 anni fa e neppure dell’antica Roma, ma del signor Rossi e della signora Bianchi di oggi o, per riferirmi se non sbaglio ai cognomi goriziani più diffusi, al signor Bressan e alla signora Visintin.Perché questa idea? Semplicemente perché vorrei trasferire in sede “civile” ciò che ho proposto alla comunità cristiana in quest’anno pastorale, cioè la valorizzazione del “cristiano della domenica”, del cristiano per così dire normale, che non ha incarichi in parrocchia – non fa il catechista, il lettore, il consigliere parrocchiale, l’operatore della caritas, ecc. – non appartiene ad associazioni e movimenti, non fa nulla di speciale: è semplicemente un cristiano. Quel “semplicemente” è tutt’altro che riduttivo, se uno vive davvero da cristiano esercitando una reale “responsabilità”, ispirata ai valori del Vangelo, nelle diverse situazioni in cui si trova: verso la famiglia, l’ambito del lavoro, la società, l’opinione pubblica di pace, l’ambiente.Vorrei allora soffermarmi qualche momento sul “cittadino comune”, normale, e sulle sue responsabilità. Un cittadino che non è impegnato in politica o nell’amministrazione, non ha incarichi in qualche ambiente (scuola, condominio, organi di categoria, sindacati, ecc.) e non è neppure socio di una o dell’altra tra le molte associazioni della nostra Gorizia. Un cittadino cioè che limita il suo ruolo pubblico all’andare diligentemente a votare nelle diverse tornate elettorali. Un cittadino pertanto di “serie b”, solo utente della città? Può essere, ma forse no. E vorrei rivalutare la sua presenza nella nostra città, sottolineando tre aspetti che possono contraddistinguere il “cittadino comune” e già di fatto lo caratterizzano contribuendo a formare quel tessuto sociale, poco appariscente, ma indispensabile perché una città possa definirsi tale.Una prima caratteristica che mi auguro possegga il “cittadino comune” è la fiducia. La fiducia è decisiva in ogni rapporto, non solo in quelli di natura familiare, affettiva e amicale, ma anche in quelli dove è evidente un interesse specifico di ciascuno, come quelli lavorativi e commerciali. In qualche modo, per esempio, devo fidarmi che chi mi vende qualcosa mi dia ciò che mi serve e lui deve fidarsi che io, cliente, paghi correttamente quanto dovuto. Se un commerciante mi imbroglia vendendomi merce avariata, non torno certo da lui; se un cliente mi paga con un assegno scoperto, lo lascio perdere. La fiducia, però, vale in ogni circostanza: in questo momento ci stiamo fidando di chi ha costruito e mantenuto questa cattedrale, nessuno di noi è salito prima sul tetto per vedere se le travi reggono ancora… Vorrei però insistere sulla fiducia nelle relazioni tra le persone. Con una precisazione: il contrario di fiducia è la diffidenza, non certo la prudenza. Non propongo quindi una fiducia avventata, ma una fiducia ragionevole, positiva, che mi mette in un atteggiamento prudente, ma aperto verso l’altro, che sia il parente, il vicino di casa o anche lo straniero che cerca da noi una prospettiva di vita fuggendo da guerre e violenze. Una città di diffidenti è destinata al blocco totale di ogni prospettiva, chiude tristemente le persone in loro stesse, va inevitabilmente a configurarsi come un susseguirsi di case trasformate in “fortini” in cui ognuno si barrica vivendo nella paura. Una città di persone che si fidano gli uni degli altri – in modo ragionevole, lo ribadisco -, può diventare una realtà solidale, può costruire qualcosa di positivo, può affrontare con fiducia – appunto – momenti di crisi e di difficoltà che oggi purtroppo non mancano.Un secondo tratto che dovrebbe qualificare il cittadino comune, in continuità con l’atteggiamento di fiducia, è la positività, l’apertura al futuro, l’ottimismo. Anche qui preciso che il contrario di positività è negatività, di apertura è chiusura, di ottimismo è pessimismo, non certo invece realismo. Un atteggiamento realisticamente positivo porta a creare un’opinione pubblica non lamentosa, non disfattista, non chiusa nei “miti” del passato. Conduce poi ad affrontare in modo costruttivo i problemi e ad aprirsi con un po’ di fiducia al futuro. Dona uno sguardo di stima e di incoraggiamento ai giovani – quelli di oggi, senza rimpiangere quelli di una volta -, cui è affidato, lo vogliamo o no, il futuro della nostra città.Infine una terza caratteristica è l’attenzione gratuita e generosa agli altri. Intendo dire l’attenzione spicciola ai bisogni di chi ci sta vicino, che siano bisogni materiali o semplicemente di ascolto. Va benissimo il volontariato, ma non vorrei che passasse l’idea che si può fare del bene solo in associazioni di volontariato, in onlus o qualcosa di simile. Se la signora anziana che abita vicino a te è ammalata, puoi andare tu a farle la spesa e a scaldarle un te o un brodo… anche se non hai alcuna divisa o tessera.A proposito di questa attenzione, permettete che vi racconti brevemente quanto mi ha confidato tempo fa il card. Francesco Montenegro, il cardinale di Lampedusa, presidente della Caritas italiana. Mi diceva che quando era parroco a Messina, un certo giorno era venuto a trovarlo un signore della parrocchia che gli aveva detto: “Don Franco, sono preoccupato per quella signora che abita nel mio palazzo al primo piano sotto il mio appartamento, una signora anziana vedova senza figli di un noto professionista a cui negli ultimi tempi non andava troppo bene… Quando passo davanti alla sua porta non sento mai odore di cucina…”. L’allora don Franco, con una scusa, era andato in quell’abitazione e aveva scoperto una situazione di grave anche se dignitosa povertà ed era poi riuscito a soccorrere con discrezione quella signora che si vergognava a chiedere un aiuto. Il cardinale aveva chiuso il racconto dicendomi: “Vedi, la carità si fa anche con il naso…”.Mi avvio a concludere questa riflessione sul “cittadino comune”. Vorrei prevenire un’obiezione: il vescovo oggi ha detto cose più o meno interessanti, ma che non c’entrano con il Vangelo. Ne siete proprio sicuri? Non è che fiducia, ottimismo, attenzione gratuita e generosa si possono tradurre cristianamente come fede, speranza, carità? Se il “cristiano della domenica” vive da cristiano nella città, vive la fede, la speranza, la carità assume spontaneamente le caratteristiche del “cittadino comune” che ho cercato di descrivere. Ma sono convinto che anche il “cittadino comune”, pure se non credente, può trovare nel messaggio cristiano, in quel Vangelo per i quali Ilario e Taziano hanno dato la vita, i valori che rendono e possono rendere maggiormente Gorizia una comunità, una città degna di questo nome.