La data della Pasqua: la riflessione di Vittorio Peri

Introdotto da un appunto del direttore Paolo Vian, l’Osservatore Romano ha ricordato (sul numero 25 del 18 giugno) il nostro conterraneo, prof. Vittorio Peri (1932-2006), ripubblicando una nota del 17 giugno 1988 con il quale, il goriziano e scriptor greco della Biblioteca vaticana, ricordava oltre quaranta anni di lavoro e di ricerche ecumeniche, quale primo membro laico fra i trenta rappresentanti cattolici della commissione mista internazionale per il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. La pubblicazione è avvenuto nei giorni della riproposizione dell’idea di una unica data per la celebrazione della Pasqua da parte delle diverse confessioni cristiane.Vian così presenta Peri: “nato a Gorizia, nell’epicentro di un epocale scontro tra etnie e civiltà, Peri per tutta la vita è stato un “uomo di frontiera” ed ha perseguito l’aspirazione all’incontro, alla reciproca comprensione, al vicendevole riconoscimento fra i due polmoni della Chiesa, nonostante ed al di là del fardello della storia di cui lui, come pochi conosceva il tenace e vischioso peso, è stato il promotore di un’amicizia e di un dialogo mai pago dei suoi risultati, mai sconfitto dai suoi fallimenti”.L’articolo di ventisette anni fa iniziava denunciando la elementare e clamorosa contro testimonianza dei cristiani: Peri citava le pastorali dell’arcivescovo di Alessandria d’Egitto il quale a sua volta, lamentava che già al tempo di S. Atanasio i non credenti esercitavano il proprio sarcasmo contro la nuova religione perché i cristiani apparivano incapaci di mostrarsi unanimi nella loro maggiore solennità annuale, la Pasqua.”Contro-testimonianza, proseguiva Peri, per la credibilità di un messaggio, il cui tratto tipico è quello della conciliazione e della concordia universale”. Preoccupazione che “stava alla base della convocazione del concilio di Nicea (325) e che anche nel contesto mussulmano ed ebraico del Medio oriente odierno si ripete ogni anno, salvo casuali coincidenze ed eccezioni”. Ricordando la mancata applicazione del Concilio niceno, Peri auspicava alla vigilia della quinta riunione plenaria della Commissione (giugno 1988) che fra i frutti positivi di questi incontri si potessero vedere, dopo tanti anni, segni concreti “nella vita quotidiana e spirituale delle rispettive Chiese”.Sulla rilevanza di tale esigenza riferiva una confidenza di Paolo VI, il quale avrebbe detto “Riuscire a mettere in mano a tutti i cristiani uno stesso testo della Sacra Scrittura e portarli a celebrare la Pasqua del Signore ogni anno nello stesso giorno, tutti insieme, basterebbe per dare senso ad un intero pontificato”. E proseguiva “grazie alle bibbie ecumeniche, pubblicate in molte lingue, si potrebbe dire che uno dei due punti di divisione si avvia alla sua soluzione in un’ampia collaborazione interconfessionale. Non può dirsi così per l’unificazione della data in cui le chiese celebrano la Pasqua”. Peri affermava che “il ventennio postconciliare non è passato invano e che dal 1966 in poi, per la volontà di Paolo VI diversi tentativi ed approcci si sono fatti in questo senso tra la chiesa cattolica e le altre Chiese e confessioni, in particolare con le Chiese ortodosse”.Ricordava la triplice base per risolvere le antiche aporie: osservanza dei tre punti dell’accordo di Nicea; aggiornamento congiunto da parte delle Chiese ortodosse e cattolica dei calendari giuliano e gregoriano; accoglimento di una nuova tavola pasquale, già elaborata con la collaborazione dei due principali astrofisici del mondo, fino al 2500, sulla base del meridiano di Gerusalemme. Difficoltà “superate in teoria e facilmente superabili in pratica” concludeva sentenziando che la “questione della data pasquale non è ormai né teologica, né scientifica, né politica: essa è semplicemente pastorale, si colloca all’interno di ciascuna chiesa, dipende dalla responsabilità delle singole gerarchie episcopali ed attiene alla manifestazione della carità tra le Chiese”.”Quod differtur, non aufertur!” concludeva Peri, riconoscendo al ristabilimento della data pasquale comune uno di quei segnali per sostenere e rendere più sentito (non solo il cammino della commissione) ma quello delle Chiese nel loro incamminarsi verso il Regno.