Incontrare Dio nella sua casa presso di noi

La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti; credo che tutti ricordiamo questo versetto del libro del profeta Isaia (Is 56,7), anche perché nei racconti evangelici questo stesso versetto viene attribuito direttamente a Gesù per scacciare i venditori dal tempio, nell’episodio noto appunto come la “purificazione del Tempio” (Mc 11,15-17; Mt 21, 12-14; Lc 19,45-48). Gesù si richiama alla sacralità del Tempio come luogo della presenza e della memoria viva dell’alleanza col Padre del popolo d’Israele. Questa stessa presenza che il profeta Isaia richiama e “allarga”, possiamo dire così, non solo al Popolo d’Israele, ma a tutte le genti. L’Autore sacro scrive immediatamente dopo il ritorno del popolo dall’esilio babilonese e nel suo oracolo offre un segno di speranza, di rinascita e di freschezza proprio nel segno di questa “apertura” del Tempio, in questa nuova accoglienza dopo il tempo della dispersione. In questa casa allora si concentrano i valori positivi dell’accoglienza, della preghiera, del richiamo universale alla Parola del Padre. È vero, possiamo incontrare Dio ovunque, ma per sua stessa scelta Dio ha iniziato a farsi costruire una casa, una dimora tra gli uomini. Prima in una tenda, poi in un tempio… Come uomini sentiamo il bisogno di incontrare Dio nella sua casa presso di noi.Dal punto di vista antropologico ogni tradizione religiosa esprime questa necessità di individuare alcuni luoghi, per dedicarli proprio all’incontro con la divinità: pensiamo ad esempio a certi elementi naturali (pietre, fiumi, montagne) che sono sacri per le religioni animiste, pensiamo al Tempio di Gerusalemme nella tradizione biblica, pensiamo alle moschee nell’Islam, alle chiesette di campagna o alle cattedrali nel Cristianesimo, pensiamo infine ai maestosi templi del Buddhismo o dell’Induismo nell’Asia orientale. Ogni popolo, ogni tradizione religiosa, esprime questa necessità di trovare un luogo per celebrare il culto, per riunirsi fra credenti, per pregare.

La tradizione islamicaNella tradizione islamica i luoghi di culto sono definiti moschee. La parola italiana deriva direttamente dallo spagnolo mezquita, che a sua volta deriva dalla parola araba masjid (dalla radice sàjada, “prostrarsi in adorazione”), che allude poi alla modalità tipicamente musulmana di pregare con una serie ripetuta di prostrazioni. Le moschee hanno carattere sacro solo in rapporto ai non musulmani. Per i musulmani invece è un edificio utilizzabile anche per altri scopi profani, purché conformi alla Shari’à, la legge islamica (come scuola o per riunioni religiose). La moschea tipica è modellata su quella costruita da Muhammad nella sua casa a Medina nel periodo dal 622 al 632 e che diventò poi anche la sua tomba. Il semplice impianto della casa del Profeta a Medina ha influenzato la struttura di tutte le moschee costruite fino ai nostri giorni.In quanto luogo di preghiera la moschea non ha elementi indispensabili ma solo utili al suo scopo. È infatti possibile pregare anche all’aperto, o dentro una casa qualsiasi, purché il terreno riservato alla salat, ovvero alla preghiera “canonica”, sia delimitato da qualche oggetto (tappeto, stuoia, mantello, telo, sassi) e sia il più possibile esente da sozzure. Questo perché per la legge islamica è richiesto lo stato di purità legale (tahara), che si ottiene con lavacri parziali o totali del corpo, mentre il luogo della preghiera deve essere esente da evidenti sporcizie che potrebbero contaminare chi col terreno debba entrare in contatto. A questo punto bisogna precisare che non tutti i luoghi di culto islamico sono moschee, esistono infatti altri santuari, spesso costruiti sopra tombe di “santi” o di personalità illustri che hanno funzione di mausolei. Bisogna dire anche che se guardiamo alla storia, ci sono stati dei periodi, anche se brevi, nei quali per proteggere la trascendenza di Allah, alcuni pensarono di distruggere i luoghi di culto e la stessa tomba del Profeta a Medina fu messa in discussione.

Struttura della moscheaDal punto di vista pratico, generalmente in una moschea troviamo un mihrab (una specie di nicchia scavata sul muro) che indica la direzione della Mecca (qibla) e della Ka’ba, considerata il primo santuario musulmano dedicato al culto dell’unico vero Dio (Allah). La preghiera della comunità si deve rivolgere in direzione della Ka’ba. Non ci sono banchi o sedie perché la preghiera si recita a terra, scalzi, sopra dei tappeti stesi al suolo.Quasi sempre si trova un pulpito rialzato (minbar) del quale un particolare Imam che si chiama khatib, che non ha funzioni sacerdotali ma solo di guida della preghiera, pronuncia la khutba, (predica), un’allocuzione/esortazione al cui interno si riportano parecchi versetti coranici. Storicamente il compito della direzione della preghiera e della predicazione spettava al califfo anche se quasi subito è subentrato un meccanismo di “delega” che già il Profeta Muhammad aveva utilizzato nell’ultimo periodo della sua vita. Caratteristica di ogni moschea è la mancanza di raffigurazioni umane o animali, in quanto proibite dall’Islam. Le decorazioni e i fregi sono perciò versetti del Corano riprodotti con calligrafie considerate particolarmente artistiche.All’esterno della moschea si trovano delle postazioni con acqua corrente per le abluzioni rituali previste prima della recita delle preghiere, anche i modi e le parti del corpo che devono essere “purificate” con il lavaggio sono specificamente stabilite.Anche nell’Islam, come nelle altre tradizioni religiose, la preghiera comune nel giorno della riunione è la principale fonte di sostegno spirituale e prescrizione canonica per il fedele. In questo ci possiamo riconoscere tutti bisognosi di entrare nella “casa” nella quale possiamo innalzare la nostra lode a Dio, trovare conforto spirituale, riconoscersi parti di una comunità di fratelli.

ContaminazioniMi sembra utile concludere menzionando due esempi di segno contrapposto nei quali si è verificata una contaminazione tra gli elementi della chiesa cristiana e quelli della moschea islamica. Ad Istambul ad esempio la cattedrale di Santa Sofia è poi stata convertita nel 1453, dopo il crollo dell’Impero bizantino, nella moschea di Aya Sofyae; nella città di Cordova, in Spagna, l’imponente moschea costruita nel secolo VIII dall’emiro al potere in quella parte di Spagna, fu poi trasformata dopo il 1236 nella cattedrale dell’Immacolata concezione di Maria Santissima, mantenendo gran parte della sua struttura originale. Per tutti i luoghi di culto sono importanti, non dimentichiamo però che essi sono anche “relativi”. Il vero tempio, ormai, è il corpo di Gesù: la vera dimora di Dio tra noi è il tempio “non fatto da mani d’uomo” (Mc 14,58) della persona di Gesù. È in lui “che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). Ed è in lui, rigettato dagli operai ai quali era mandato, ma riedificato e rivivificato in tre giorni dal Padre da cui procede, che abbiamo la speranza di ricevere anche noi – quando sarà distrutta la nostra dimora terrena – “un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli” (2Cor 5,1).