Beati gli invitati alla cena del Signore

Siamo così giunti al momento della distribuzione della Comunione. Il sacerdote la introduce con l’ostensione del Pane e del Vino consacrati con un duplice scopo: evidenziare lo stato del Cristo come vittima immolata in espiazione per i nostri peccati e quelli di tutta l’umanità – «Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» –; invitare ad assumere il Corpo di Cristo in cibo – «Beati gli invitati alla cena del Signore» (cf. Ap 19,9). Commenta Raffa: «Cristo viene presentato come l’Agnello immolato e imbandito in un convito, nel quale si dà in cibo come pane vivo, corpo vivificato e vivificante nello Spirito Santo. La formula ha un marcato carattere sacrificale (Agnello) e conviviale (cena), come in Ap 19,9. “Agnello” è, nel medesimo tempo, l’invitante e la cena stessa» (RAFFA, p. 564). La risposta all’invito è ad un tempo professione di umiltà e riconoscimento della propria indegnità ad accostarsi alla mensa che il Signore ha preparato per il suo popolo (Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa…) e al tempo stesso domanda di purificazione (…e io sarò salvato).Nutrirsi del Pane della Vita e della Bevanda di salvezza, significa anche lasciarsi trasformare/trasfigurare dal sacramento. Benedetto XVI insegna che la forma eucaristica della celebrazione diventa anche forma della stessa vita cristiana: «Scoprendo la bellezza della forma eucaristica dell’esistenza cristiana siamo portati anche a riflettere sulle energie morali che da tale forma vengono attivate a sostegno dell’autentica libertà propria dei figli di Dio. Intendo con ciò riprendere una tematica emersa nel Sinodo riguardo al legame tra forma eucaristica dell’esistenza e trasformazione morale. Il Papa Giovanni Paolo II aveva affermato che la vita morale possiede il valore di un “culto spirituale”, attinto e alimentato da quella inesauribile sorgente di santità e di glorificazione di Dio che sono i Sacramenti, in specie l’Eucaristia: infatti, partecipando al sacrificio della croce, il cristiano comunica con l’amore di donazione di Cristo ed è abilitato e impegnato a vivere questa stessa carità in tutti i suoi atteggiamenti e comportamenti di vita. In definitiva, nel culto stesso, nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri. Un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. Questo richiamo alla valenza morale del culto spirituale non va interpretato in chiave moralistica. È innanzitutto la felice scoperta del dinamismo dell’amore nel cuore di chi accoglie il dono del Signore, si abbandona a Lui e trova la vera libertà. La trasformazione morale, implicata nel nuovo culto istituito da Cristo, è una tensione e un desiderio cordiale di voler corrispondere all’amore del Signore con tutto il proprio essere, pur nella consapevolezza della propria fragilità. Ciò di cui parliamo ben si rispecchia nel racconto evangelico relativo a Zaccheo. Dopo aver ospitato Gesù nella sua casa, il pubblicano si ritrova completamente trasformato: decide di dare metà dei suoi averi ai poveri e di restituire quattro volte tanto a coloro ai quali ha rubato. La tensione morale che nasce dall’ospitare Gesù nella nostra vita scaturisce dalla gratitudine per aver sperimentato l’immeritata vicinanza del Signore (Sacramentum caritatis, 82).